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sabato 29 marzo 2014

ATTUALITÀ ECONOMICA DI EZRA POUND

di DANILO CARUSO

L’eurocentrismo, che dalla scoperta dell’America impresse la sua indelebile impronta sullo sviluppo del pianeta, è crollato dopo la fine dell’ultimo conflitto mondiale. L’Europa ha ceduto il passo a forme di bipolarismo “Occidente / resto del globo”, che l’hanno posta in subordine al cospetto degli USA e della Russia (ex URSS). Il tentativo di recuperare al vecchio continente il suo ruolo di guida mondiale ha spinto le principali nazioni europee ad associarsi in gruppi comunitari sempre più evoluti e compatti con il fine di cementare una piattaforma di forza. L’Unione europea si avvia verso la struttura istituzionale di una federazione politica con la creazione degli Stati Uniti d’Europa, i quali pare si vogliano modellare sullo stampo sociale capitalistico americano. Al momento attuale l’assetto testimonia che la procedura adottata abbia prediletto, attraverso l’unione monetaria, posta sotto il governo di una banca centrale, una via socioeconomica. La BCE è un governo delle produzioni, dei consumi, in pratica dei regimi di vita, poiché il controllo sull’euro dà facoltà di alimentare o meno detti circuiti. Il clima di darwinismo sociale creatosi, in cui sembra operarsi una scrematura generale a scapito di tutte le categorie umane che non sapranno adeguarsi (quasi fossero Eloi davanti a Morlock) offre lo spunto di richiamare il pensiero economico di Ezra Pound (1885-1972). Vissuto lungamente in Italia, fu ammiratore del fascismo, di cui vide i metodi di affrontare la precedente grande crisi degli anni ’30. Da scrittore non si dedicò solo alla letteratura: espose le sue riflessioni nel campo dell’economia meritevoli di un’obiettiva attenzione e di un critico esame, non ideologici, ma di schietto carattere storiografico, il quale non coinvolge altri temi degli accadimenti italiani di quegli anni (che in taluni casi – come l’antisemitismo, la vicinanza al nazismo, e le loro nefaste conseguenze – si accompagnano a inequivocabili giudizi di nette disapprovazione e condanna). L’accento poundiano su peculiari aspetti del rapporto uomo-lavoro si rivela molto interessante. Tutto ciò che gli uomini producono in termini di servizi o di cose può essere comprato. Questo prodotto lordo scaturisce come frutto dell’attività lavorativa. Il circuito – in senso lato – commerciale è tenuto in piedi da questa, se la produzione cessasse anche gli scambi in moneta prima o poi finirebbero: riducendosi a zero la produttività tutta la valuta in giro perderebbe il suo potere d’acquisto. Pertanto è evidente che ad avvalorare il denaro come mezzo di scambio è il lavoro svolto. Il valore di una merce è quello dell’opera necessaria a produrla (quantità e qualità del lavoro), senza cui neanche esisterebbe. I soldi in circolo sono espressione della produzione e Pound raccomanda che «il certificato del lavoro compiuto deve equivalere a tale lavoro». I titoli relativi al prodotto si traducono in titoli generali (denaro), però «la finanza dei finanzieri consiste in gran parte nel far giocare abilmente titoli generali contro titoli specifici»: un’emissione di biglietti senza concreta copertura può far svalutare il titolo relativo alla produzione, e di conseguenza il lavoro effettuato. Riguardo al rapporto nevralgico tra l’emissione della moneta e la sovranità dello Stato il monito poundiano è chiaro: «Quella nazione che abbandona lo strumento per misurare gli scambi alla mercé di forze estrinseche alla nazione, è una nazione in pericolo; è una nazione priva di sovranità nazionale. […] Nessun altro reparto o funzione dello Stato andrebbe sorvegliato con cura più gelosa che non questo, e in questo più che non in qualsiasi altro reparto dell’amministrazione statale occorrono alti requisiti di moralità». Lo scopo di un apparato produttivo non deve essere quello di creare ricchezza monetaria, Pound ricorda che «quando si tratta di proporre un sistema economico, si deve innanzitutto domandare a quale scopo deve servire. E la risposta è che deve servire ad assicurare a tutti il cibo (sano), l’alloggio (decente), e l’abbigliamento (secondo le esigenze del clima)». La vocazione del capitalismo, secondo l’analisi weberiana che ne vede nell’attivismo protestante la radice, è quella di concentrare con criterio progressivo soldi, più di ogni altra cosa da non investire: gli esseri umani predestinati da Dio cercherebbero nel successo socioeconomico un segno dell’elezione divina alla salvezza eterna, e dei frutti possibili delle attività l’etica del protestantesimo impedirebbe di fare spreco (proiettandoli in direzione di una sedimentazione indefinita, l’accumulo di capitale tanto criticato da Marx). La teoria marxiana del plusvalore ha spiegato come fosse sufficiente agli imprenditori garantire solo l’essenziale alla vita della classe lavoratrice: buona fetta della differenza ricavata dai costi di vendita dei prodotti arricchiva il capitalista sottovalutando ad arte l’esclusivo potere del lavoro umano di avvalorare il denaro, mentre sarebbero state più giuste ed eque la garanzia del diritto al lavoro nei confronti di tutti e la partecipazione di ogni soggetto coinvolto attivamente nell’impresa ai suoi utili (un’idea poundiana contempla dividendi pubblici ai cittadini a beneficio dell’intero insieme nazionale). Le basi di un’economia funzionale al benessere (welfare) collettivo sono così sollecitate da Pound: «Chiunque sia abbastanza corretto da voler lavorare per la propria sussistenza e quella di chi dipende da lui […] dovrebbe avere la possibilità di fare una quantità ragionevole di lavoro. […] Il PRIMO PASSO consiste nel mantenere la giornata lavorativa abbastanza corta da impedire che un singolo faccia il lavoro pagato di due o tre persone. Il SECONDO PASSO consiste nella fornitura di certificati onesti del lavoro fatto [moneta-lavoro, n.d.r.]». Tuttavia sulla distribuzione di carichi lavorativi puntualizza: «È ABBASTANZA CURIOSO che, nonostante tutte le lagnanze di coloro che erano soliti lamentarsi di essere oppressi e oberati di lavoro, l’ultima cosa che gli esseri umani sembrano voler spartire sia il LAVORO. L’ultima cosa che gli sfruttatori sono disposti a lasciare che i loro dipendenti condividano è il lavoro.». Se la valuta a disposizione della gente diminuisce perché si deposita e si accumula nelle banche a causa delle loro speculazioni, il ciclo produttivo ne risentirà contraendosi (diminuzione del PIL). Pound dice che bisogna «trovare un sistema che consenta di tenere in circolazione il mezzo di scambio in modo che la domanda del singolo, o ad ogni modo ciò di cui ha bisogno, non sia superiore all’ammontare del mezzo di scambio in suo possesso, o a lui immediatamente accessibile», e «considerando il denaro come un certificato di lavoro compiuto, il modo più semplice per continuare a distribuirlo (in biglietti di credito a corso legale) consiste nel continuare a distribuire lavoro». Nella ricerca di soluzioni afferma che «la scienza dell’economia non andrà molto lontano se non garantirà la presenza della volontà tra le sue componenti: cioè volontà d’ordine, volontà di “giustizia” o equità, desiderio di civiltà inclusi gli scambi di cortesie». Negli anni ’30 la politica economica del fascismo incoraggiava le assunzioni di nuove persone in luogo dello svolgimento di lavoro straordinario, la riduzione dell’orario lavorativo al posto di licenziamenti e l’abbassamento dell’età per la pensione (soprattutto nei casi delle mansioni più pesanti). In questo scenario una parte fondamentale ebbe la Banca d’Italia, la quale grazie a sane strategie d’intervento sulla realtà finanziaria e imprenditoriale, concorse al salvataggio dell’economia italiana. Questa attitudine interventista – non nuova – si sposò con le direttive del regime patrocinante la presenza della mano pubblica nel comparto produttivo privato, al fine di evitare che questo affondasse tra i problemi. Il programma fascista comportò a gradi un sempre migliore controllo del mondo bancario (posto sotto la vigilanza della Banca d’Italia, divenuta nel 1926 unico istituto di emissione della lira, i poteri operativi della quale al servizio dello Stato si accrebbero nel 1936) e la creazione, dopo l’IMI, dell’IRI (un braccio d’azione erogatore di finanziamenti e gestore di partecipazioni). L’Istituto mobiliare italiano, negli anni ’90 prima privatizzato e poi accorpato, e l’Istituto per la ricostruzione industriale, in maniera similare assorbito e scomparso nel 2002, entrambi a vantaggio di privati, sono due tipologie strumentali oggi venute a mancare. Enti del genere ben gestiti darebbero all’Italia quell’aiuto di cui necessita. La sottrazione della sovranità monetaria sembra pure aver complicato la situazione dato che se i soldi pubblici si sprecano nell’effimero senza concreti ritorni di servizi e cose il circolo valutario si guasterebbe: una quantità minorata di vero lavoro coprirebbe il valore del denaro investito, il quale rischierebbe d’altro canto di venire eroso e paralizzato nelle banche. L’accumulazione bancaria mirante all’investimento sui titoli del debito sovrano, può ingenerare in Europa un effetto coperta corta: chi attrae in eccesso euro da una parte toglierebbe dall’altra, danneggiando così un normale ciclo economico. In questa ipotesi avere una seria produzione, creatrice di ricchezza, potrebbe equivalere, a causa del suo effetto di crescita, a gestire un proprio (e quindi non comunitario) centro di gravità monetario che indebolirebbe gli altri Stati se la BCE e le banche non perseguissero una condotta analoga a quella della Banca d’Italia all’epoca del fascismo (la quale si adoperò a favore di un interesse generalizzato). Non sprecare le risorse pubbliche, non ingrandire il debito statale, non rimanere prigionieri di norme comunitarie, non prestare il fianco a particolari convenienze sono prassi di sopravvivenza valide a vantaggio di tutti i governi europei a disagio, in attesa che l’Unione assuma un’egida politica federale esplicita. Nel frattempo ancora le parole di Pound tornano a suggerire: «1. Quando c’è quanto basta, si dovrebbero trovare i mezzi per distribuirlo a chi ne ha bisogno.
2. È compito della nazione provvedere a che i suoi cittadini abbiano la loro parte, prima di preoccuparsi del resto del mondo. (Altrimenti che senso avrebbe essere “uniti” od organizzati in uno Stato? Che cosa significa “cittadino”?)
3. Quando la produzione potenziale (la produzione possibile) di qualsiasi cosa è sufficiente per soddisfare la necessità di tutti, è compito del governo provvedere a che sia la produzione, sia la distribuzione, vengano portate a termine». L’auspicio poundiano finale è questo: «Nel momento in cui il denaro viene concepito come il certificato del lavoro compiuto, le tasse risultano un’anomalia, in quanto sarebbe semplicissimo emettere certificati di lavoro compiuto per lo Stato, senza affaticarsi inutilmente per recuperare certificati già in circolazione. Ciò non significa che lo Stato debba acquistare proprio tutto quel che gli salta in mente. Ci sarebbe una corsa di “cercatori d’oro” nel momento in cui questo concetto diventasse operativo, ma dovrebbe esserci anche un accresciuto senso della proporzione nei valori PER lo Stato. Non si risparmierà più sulla sanità». Nell'UE è impossibile alle singole banche centrali nazionali stampare biglietti, ma è possibile in un Paese rilanciato adoperarsi verso l’obiettivo di lasciare più soldi ai cittadini e alle imprese (ad esempio diminuendo l’IVA). Se l’Italia, costretta allo scopo di evitare il peggio, uscisse fuori dell’euro e reintroducesse la lira, con la sovranità monetaria, la valuta iniziale da una lira partirebbe da una situazione di uguaglianza teorica con la moneta dell’Unione (1 L = 1 €). Tenendo conto di una scontata successiva svalutazione della lira negli scambi anche di 1/3 del suo valore di partenza, questa si attesterebbe – secondo giudizi esperti – su un piano di parità col dollaro (1 L = 1 $): la capacità dell’economia in Italia pare essere tale di tener testa alle possibili difficoltà e la svalutazione competitiva agevolerebbe le esportazioni. Il futuro migliore dei popoli in Europa resta comunque la pacifica e solidale unità politica, costruita secondo giustizia sociale sulla libertà degli individui, esempio di civiltà e di progresso a sostegno della vita umana sulla Terra.


Bibliografia dei brani poundiani
A che serve il denaro, Edizioni San Giorgio, Napoli 1980
ABC dell’economia, Bollati Boringhieri, Torino 1994