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venerdì 16 settembre 2016

LA LANCIA DI ATENA

di DANILO CARUSO

Reputo che Hegel sia stato prima che filosofo un raffinatissimo psicologo e sociologo. Nelle sue riflessioni ha raccolto molte dinamiche dell’azione umana, le quali montate assieme offrono la Verità cui mirava il suo sistema idealistico. Non si tratta di contenuti fissati né tanto meno di figure (hegeliane) stabilite definitivamente. La storia va avanti, e nel pensiero di ogni epoca c’è una sorta di psicoterapia accanto alla ricerca scientifica, la quale dà risposta alle esigenze spirituali del momento. In questo senso la conoscenza della Verità è un sapere di tipo storico, poiché avviene tramite una conoscenza che si prolunga nel tempo. Ma dietro questo palcoscenico della temporalità si celano dinamiche soggettive e intersoggettive (psicologiche e sociologiche) che ci conducono alla volta di un piano d’analisi astrattivo dove il mero fluire del giorno si scioglie a guisa di neve al sole. Il mondo della psiche, dell’inconscio (individuale e collettivo) apre le porte a una magmatica verità atemporale di raccolta e di elaborazione immensa di dati di coscienza. È lo junghiano inconscio collettivo, dove abitano gli archetipi, i quali sono risultati di quest’attività di sottofondo psichico, i prodotti di mediazione tra tensioni. Essi affiorano alla coscienza come simboli miranti all’addomesticamento e alla stabilizzazione di agitati e irrequieti contenuti sedimentati dietro all’archetipo che funge per noi da mediatore formale, e a cui la fantasia appiccica una facciata di sicurezza (il simbolo appunto). L’archetipo appare prodotto sintetico alla maniera hegeliana (risultato di una dialettica di contrapposizione): è un razionale positivo il simbolo nel suo ruolo di guida verso l’equilibrio. L’elemento simbolico in mano alla coscienza diventa medium negativo nel tentativo di calarci nel retrostante all’archetipo, e di aggiustare ciò che non va nella vita quotidiana. Le figure della “Fenomenologia dello Spirito” sono archetipi junghiani, sono modelli astratti di un’area altrove simbolica indicante analoghi comportamenti umani: nuove epoche possono presentare archetipi, simboli, figure nuove nel progresso di crescita dell’umanità. Uno schema di psicologia evolutiva molto profondo è quello vichiano, il quale distingue (partendo dalla singola natura dell’uomo) tre stadi di un meccanismo storico progressivo, e ciclico nel suo impianto generale che si ripete lungo una scala in salita e in direzione di una maturità più elevata. Vico chiama le tre fasi età 1) degli dei, 2) degli eroi, 3) degli uomini. A ognuna corrisponde una qualità precipua dell’evoluzione individuale (nella concezione vichiana la società e la storia sono dimensioni di un corpus unico che cresce, allo stesso modo di Hegel): 1) la fantasia, 2) il coraggio, 3) la razionalità. Il presentarsi di archetipi junghiani si manifesta subito nella persona e nell’intero genere umano giacché la fantasia è la prima attività. A questa corrisponde uno stadio di ingenuità; di astrattezza tetica, se vogliamo dirla con Hegel: è la condizione di natura rousseauiana, è lo status dell’anima bella romantica. Detti ultimi due casi sono riproposizioni teoriche in un grado del prospetto vichiano che si è già ripetuto. All’astrattezza segue un fuori-di-sé, un prendere contatto, dominio della realtà esteriore in funzione di specchio che restituisca l’immagine dell’uomo: il coraggio di intervenire nel mondo gli riflette il suo ruolo (dialettica hegeliana signore-servo). Allorché il coraggio resta fermo all’esterno davanti al razionale e assorbe i contenuti della sfera religiosa (di per sé di tendenza pacifica) dell’età degli dei sorgono fenomeni religiosi nocivi: nascita di religioni illiberali e persecuzioni. L’attivismo protestante alla base del capitalismo (Weber) fornisce un ulteriore esempio di simile insania, al pari del terrorismo di richiamo religioso. Questi ultimi sono naturalmente collocati in fasi triadiche vichiane avanzate (puntualizzo che non dobbiamo pensarle attribuite in maniera netta e omogenea nelle varie vicende umane, similmente alle figure hegeliane e agli archetipi junghiani). La religione traslatasi nell’età degli eroi rappresenta un passaggio hegeliano negativo razionale. Nella terna dello Spirito Assoluto (coscienza in sé e per sé, ossia piena e completa) la religiosità ha il compito di medium negativo, la religione armoniosa dell’età degli dei era l’arte (specchio del continuum uomo-natura, di un’astrattezza tetica che si perderà a mano a mano che gli esseri umani aggrediranno e controlleranno la natura, con gran rimpianto di Rousseau). L’arte è un luogo simbolico-archetipico junghiano: se l’età degli eroi non guadagna quella degli uomini, il blocco di fronte all’ingresso del razionale genera disturbi psichici (i più vari: da quelli meno evidenti a un occhio comune, a quelli purtroppo noti). Una manifestazione sociale positiva dell’era antica è stata l’Olimpiade: evento sportivo e religioso (non il solo) in grado di fermare una guerra. Fondeva bene l’età degli dei (arte, religione, fantasia) ed età degli eroi (valore, intraprendenza, senso dell’onore), e una bella fetta di razionalità (età degli uomini), dato che aveva la capacità di far sospendere un conflitto in nome di qualcosa di ideale superiore all’ombra junghiana. Oggi rischia di succedere il contrario. Hegel dice che la religione è un fuori-di-sé, che è un quid intersoggettivo, liturgia sociale: ciò era l’Olimpiade antica. Una religiosità che perde tale ethos e si trasforma in nevrosi, impantanandosi davanti al sagrato della razionalità, senza entrare nel razionale positivo hegeliano e nell’età degli uomini vichiana, contempla un io in balia di pericolosissimi complessi. Le religioni vengono costruite di miti, i quali ripropongono simboli rievocanti archetipi. Laddove ci sono modelli comportamentali giudicabili illeciti c’è una religiosità malata: pensiamo alla caccia e all’uccisione delle streghe. Le religioni sono favole per adulti. Come le fiabe, relegate però all’età infantile, rispondono col loro linguaggio simbolico a bisogni della psiche individuale o del corpus sociale. Cosicché, ad esempio, nei contesti in cui prevale letale misoginia è lecito – in senso relativo contingente – al nevrotico adottare tutta quella impalcatura concettuale autorizzante e legittimante il disprezzo. Una lucreziana religio è disturbo mentale. Certe forme (pseudo)religiose sono rappresentazioni di disagio interiore. L’essere umano, la società che si elevano all’età degli uomini, al terzo gradino dello Spirito Assoluto (la filosofia) hanno la possibilità di osservare il mondo dall’alto (in basso). Tutto ciò non equivale ad abolire la religione in senso marxista. Marx faceva notare cose in gran parte sensate. Le religioni sono le filosofie degli ignoranti: di chi su larga scala, purtroppo, è stato costretto a rimanere nell’ignoranza, e di a chi piace questo huxleyano soma (rassicurante sin quando il negativo della dialettica hegeliana in generale non si presenterà sotto il suo naso). In relazione a elaborati come le favole Jung distingue uno spirito del tempo e uno spirito del profondo. Quest’ultimo fornisce il senso di una fiaba elaborato nel sostrato inconscio collettivo: l’allegoria autentica di cui lo spirito del tempo vede quanto gli occorre e quanto la sua abilità di lettura gli consente. Riguardo allo spirito del tempo gli uomini differiscono: ognuno vive secondo le sue abilità, e la più diffusa connota l’epoca. La nostra era è quella di nevrotici di acculturazione scadente: la perfetta irrazionalità sottratta di quel che basta al principio di realtà (vale a dire alla conservazione di una società bestiale nella sostanza e ipocrita nell’apparenza di ordine controllato). Uno spirito del tempo legato a dei soggetti da educare meglio, da curare, va a pescare simboli negativi, comportamenti distruttivi, in qualsiasi stagione. Lo scontro violento cui assistiamo oggi vede contendenti due modelli di irrazionalità: quella capitalistica occidentale e quella antipauperistica filoterzomondista. Solo la ragione può salvare il mondo. La ratio non può essere offesa dal suo interno: viene attaccata, limitata, isolata da fuori. Una qualsivoglia condotta nevrotica, anche la meno percettibile, è il frutto di una privazione di razionalità. Proviene dall’investire libido male nell’età degli eroi, nel fuori-di-sé dove si intreccia l’intersoggettività mitico-liturgica. In un telaio di fili nevrotici in modo molto difficile si possono tessere fili buoni. Ci vuole l’intervento di una vis sana a supporto della ratio. Pensiamo al mito della biga alata del “Fedro” platonico: la componente razionale umana (auriga) ha bisogno del cavallo bianco (componente emotiva) allo scopo di dominare il cavallo nero (la parte passionale, torbida, l’ombra junghiana). La vichiana età degli uomini prospetta il punto di sanità nella vita dell’uomo e dell’umanità: è costituito dal vertice della filosofia nell’hegeliano Spirito Assoluto, dall’archetipo dell’individuazione nella psicologia junghiana. La libido (materia) si coniuga con la ragione (forma) in un sapere liberatorio e in un libero agire creativo: essere e non avere, per dirla con Fromm. Si comprende che alcuni esseri umani, disponendo della forza opportuna, possono migliorare la realtà. Basta mettere ognuno al proprio posto come nella repubblica platonica, dove la milizia a tutela dell’ordine e del benessere è il braccio al servizio di un’aristocrazia intellettuale.



Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Critica dell’irrazionalismo occidentale”