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venerdì 22 settembre 2017

“EQUALS” E L’ANIMA A UNA DIMENSIONE

di DANILO CARUSO

“Equals” è un film distopico del 2015, proiettato alla Mostra di Venezia, e diretto da Drake Doremus, il cui soggetto, elaborato da Nathan Parker, trae origine da un racconto del regista medesimo. In questa pellicola la società umana è organizzata dentro un apparato denominato “Collective”, il quale ha bandito ogni forma di emozione e di sentimento, spingendosi a un livello più elevato dello Stato zamjatiniano di “Noi”1. Infatti, mentre nel romanzo di Zamjatin è lecito un esercizio libero, controllato, desublimante (quindi repressivo, contenitivo de facto) della sessualità, in “Equals”, nei confronti di tale aspetto, siamo vicini all’agostinismo di “1984”2, il quale nel film viene a sua volta portato alle estreme conseguenze. Soppressa la possibilità di legami erotici naturali e autonomi, il rinnovo generazionale viene gestito attraverso il metodo della fecondazione ovulare artificiale applicata alle prescelte. La forma procreativa normale rappresenta una violazione dell’ordine. In simile contesto di concepimento (un passaggio paragonabile all’azione dello Spirito Santo), gli embrioni ricevono un’alterazione inibitoria della facoltà sentimentale (come se si volesse far nascere i bambini senza peccato in virtù di un rinnovato e allargato principio dell’“immacolata concezione”): la componente genetica maschile rinforzata, in termini simbolici junghiani, il maschile-logico, dovrebbe sopraffare la parte femminile, biologicamente passiva nella visione medica premoderna, e quindi ingabbiare il femminile-erotico destabilizzante. Questa macchia primordiale può ripresentarsi nell’esistenza degli individui del Collettivo nella veste di “switched-on syndrome (sindrome di deviazione)” la cui sigla è SOS, la quale fuori del contesto filmico rievoca il noto segnale d’aiuto, il cui significato (“save our souls”, salvate le nostre anime) però si riallaccia al mio quadro analitico. I soggetti malati vengono internati in un centro di recupero per il deficit emozionale neuropatico (DEN: “defective emotional neuropathy”): qua diffusa prassi di trattamento è l’induzione al suicidio. È singolare che il decorso di siffatta (pseudo)patologia, immaginabile quale un risveglio libidico dell’inconscio collettivo, abbia quattro stadi, quanti quelli del processo alchemico-junghiano. Le vicende dei protagonisti del film, Nia e Silas, ricordano molto quelle di Julia e Winston di Orwell e di I-330 e D-503 di Zamjatin. Si tratta di una sovrapposizione e di un incrocio di due coppie letterarie producente un risultato originale, nuovo e gradevole al fruitore. In “Equals” Silas si avvicina a un gruppo clandestino di malati di SOS, il che rappresenta qualcosa di simile all’introduzione presso i Mefi di D-503 in “Noi”. Esiste nel film una parallela zona, qui nota, fuori del Collective, dove risiedono esseri umani non inibiti, ritenuti pericolosi e il cui contatto non è un’ipotesi da prendere in considerazione per un cittadino esemplare. La “Penisola” filmica, benché non presentata in maniera nitida, offre tratti di somiglianza con la parte positiva della dicotomia zamjatiniana “interno della città (razionale distopico) / esterno, aperta natura (libero recupero della libido junghiana)”. Sopra una dinamica del genere il film illustra la partita dell’eros liberatore nel legame sentimentale fra Nia e Silas. Nel finale la trama, ancora una volta, indica una particolare tangenza zamjatiniana, quando Silas, al pari di D-503, si sottopone a una terapia inibitoria radicale: gli esiti nei due personaggi saranno diversi. D-503 guarirà del tutto (e I-330 sarà poi condannata a morte), Silas (fuggito assieme a Nia verso la Penisola) riuscirà, nonostante la cura, a mantenere vive le sue capacità emotive e sentimentali (naturam expellas furca, tamen usque recurret). In “Equals” una nevrotica agostiniana Civitas Dei, dove un antiutopico Logos pacificatore aveva preso il sopravvento, viene sconfitta3.


NOTE

Questo scritto è un estratto del mio saggio “Note di critica (2017)”

1 A questo romanzo, con cui il film di Doremus condivide – fra l’altro – il risalto dato all’esplorazione dello spazio, ho dedicato una monografia: “L’antipanlogismo di Evgenij Zamjatin (2015)”.

2 A proposito di quest’altra distopia ho scritto un saggio: “Il Medioevo futuro di George Orwell (2015)”.

3 Può risultare utile, ai fini di un paragone e di un approfondimento della mia impostazione critica, leggere una mia analisi del film “Equilibrium (2002)” di Kurt Wimmer.